Rif: 9-14
Locale commerciale in zona Trastevere, Aventino, Testaccio a Roma
- 485.000
- 110 m2
- 2 locali
- 1 bagno
Locale commerciale Affittato a reddito circa 30.000/ annui
con canna fumaria Vendesi centro Testaccio possibilità accollo mutuo.
negozio con soffitti alti 6 metri e soffitti a volta di inizio secolo.
Mq 110 commerciali unica luce su strada canna fumaria.
Ideale per pizzeria, friggitorie gastronomiie bar e pasticceria gelateria.
Alcuni dettagli sulla zona:
Testaccio è il nome del ventesimo rione di Roma,
Il nome deriva dal cosiddetto "monte" (mons Testaceus): 35 metri di cocci (testae, in latino) e detriti vari, accumulatisi nei secoli come residuo dei trasporti che facevano capo al porto di Ripa grande.
Il toponimo indica anche la zona urbanistica 1d del I Municipio. Popolazione della zona urbanistica: 8.373 abitanti.
STORIA:
Il porto dell'Emporio funzionava fin dall'epoca romana, ed era il punto d'approdo delle merci e delle materie prime (prioritariamente marmi, grano, vino) che, arrivate via mare dal porto di Ostia, risalivano il Tevere su chiatte rimorchiate dai bufali che nel 1842 vennero sostituiti con rimorchi a vapore.
Nei secoli i cocci delle anfore, che servivano a contenere grano e alimenti liquidi durante il trasporto, si accumularono a montagnola: da qui il nome - antico - di monte Testaccio o Monte dei cocci, e la scelta - moderna - dell'anfora come simbolo del rione. Il numero delle anfore accatastate si stima attorno ai 25 milioni. Le anfore vuote che avevano contenuto soprattutto olio venivano rotte in cocci poi disposti ordinatamente per dare stabilità in piramide a gradoni e cosparsi di calce per evitare gli odori dovuti alla decomposizione dei residui organici.
Nei secoli XIII e XIV vi si teneva un palio da cui l'altra denominazione di Mons de Palio.
I marmi, che diedero il nome alla via Marmorata che mette in comunicazione il porto di Ripa con la Porta San Paolo, erano quelli che i romani continuarono ad importare da tutto il mar Mediterraneo via mare fino alla fine dell'impero, e che nella decadenza di Roma rimasero inutilizzati in grandi quantità, res nullius, per secoli cava a cielo aperto di semilavorati di valore.
Lapide del 1720 che ricorda l'uso pubblico dei Prati di Testaccio
Fino alla bonifica e alla riorganizzazione urbana iniziata dopo il 1870, che destinò questo territorio e quello lungo la via Ostiense fino alla basilica di San Paolo ad attività industriali e di servizi "pesanti" (ferrovie, mattatoio, mercati generali, fabbrica del gas qui trasferita dal Circo Massimo) la zona, che pure era dentro le mura, era popolata da contadini poveri e pastori, soggetta alle alluvioni del Tevere e infestata dalla malaria, che cominciava alle porte di Roma.
Lo spazio tra il monte dei cocci e le mura era ad uso pubblico, e chiamato «i prati del popolo romano», e i Romani "di città" la frequentavano per diporto: per loro i prati del Testaccio erano destinazione tradizionale delle gite di pasquetta e delle ottobrate[3].
Testaccio è un esempio tipico di urbanizzazione industriale, nata come insediamento abitativo, sep ... continua